Ho attacchi di panico

L’attacco di panico è un esperienza di terrore, improvvisa e scioccante, che, almeno la prima volta, ti ha trovato disarmato e impreparato.

Dopo esserne stato sopraffatto, però, è raro che tu rimanga passivo, ciò che avviene di frequente è che ti armi di una corazza tanto più forte, quanto più il nemico ti appare incomprensibile e imprevedibile.

La corazza che indossi per proteggerti si chiama ansia anticipatoria.
È quel processo rimuginatorio che ti fa pensare ripetutamente a tutte le conseguenze negative che potrebbero accadere qualora ti esponessi ad una situazione simile a quella provata durante il primo attacco.

Potresti preoccuparti all’idea di prendere l’ascensore oppure di salire su un autobus, di guidare in autostrada o di andare ad un concerto, solo per fare alcuni esempi comuni.
Per quanto ti stia proteggendo, questo meccanismo ti sta anche ingabbiando dentro le immagini catastrofiche che la tua mente costruisce. Difficile pensare ad altro. Ancora più difficile affrontare il rischio.

Così affinché tali scenari non si realizzino e il panico non ti afferri, salti in groppa al tuo veloce cavallo: l’evitamento.
Se una situazione ti mette ansia, inizi ad evitarla, l’ansia si placa e tiri il fiato.
Presto, però, ti renderai conto che le situazioni in cui ti percepisci vulnerabile potrebbero aumentare. Ti ritrovi incastrato in una spirale di allarmata attesa ed evitamento, che va restringendo la tua autonomia e il tuo senso di sicurezza.
Più ti proteggi, più ti senti in pericolo.

1) Il primo movimento utile per uscire dalla spirale del panico è fermarsi e comprendere come è fatta.

In studio posso aiutarti a decostruire questo terribile circolo vizioso, imparando a identificare i fattori scatenanti attuali, i fattori di mantenimento e i fattori predisponenti passati.

Qualsiasi siano i segnali fisici del tuo panico (tachicardia, tremori, sensazioni di soffocamento, nausea o senso di irrealtà, vertigini…), ricorda che sono riconducibili ad una reazione di difesa detta “attacco-fuga”. La tua mente, anche se in modo automatico e non cosciente, sta dicendo al tuo corpo di prepararsi all’azione per fronteggiare un pericolo ed il tuo corpo risponde con prontezza.

Ciò che accade dopo, però, è che la mente razionale non coglie alcun reale pericolo, se non quello derivante dall’intensa attivazione corporea e vi attribuisce significati plausibili, ma errati. Ad esempio “sto morendo”, “ho un infarto”, “sto impazzendo”.
Questa lettura amplifica la reazione difensiva ed esaspera la risposta somatica, ormai percepita come fuori controllo.

2) In studio puoi imparare strategie per regolare l’attivazione del tuo corpo e gestire l’ansia anticipatoria.

Il panico viene vissuto come un’esperienza corporea travolgente. La componente emotiva, la paura, è successiva e legata ad interpretazioni catastrofiche di quanto provato nel corpo.
Solo imparando a regolare la tua attivazione corporea e facendo esperienza, in un contesto relazionale sicuro, che non vi sia pericolo in tali manifestazioni fisiche, potrai ritrovare la fiducia in te stesso e nel tuo corpo.

3) Insieme possiamo trasformare il panico in un’esperienza di crescita.

Per quanto possa sembrarti impossibile ora, l’esperienza di panico, se adeguatamente affrontata, ti permetterà di crescere da un punto di vista psichico.

Forse anche tu, come molti che ne soffrono, stai percependo il panico come privo di senso, questo spesso suggerisce che nel corso della tua crescita potresti non aver avuto occasione di imparare il valore delle emozioni, come si esprimono attraverso il corpo e come gestirle.

Potresti aver imparato, al contrario, che le emozioni sono qualcosa di cui sia meglio sbarazzarsi, qualcosa di infantile o sentimentale, oppure potresti esserti trovato solo a gestirle.

Dalla letteratura scientifica sappiamo che il panico esordisce tra l’adolescenza e la prima età adulta, in una fase evolutiva di svincolo e separazione dai propri riferimenti familiari e affettivi.
Ma, ad ogni età, può seguire momenti specifici di separazione: la fine di un ciclo scolastico, la separazione da un partner, la malattia/morte di una persona di riferimento, un trasloco lontano dal proprio gruppo di amici.
In questo momenti è normale provare tristezza per ciò che si lascia e timore per ciò che si dovrà affrontare, ci si potrebbe sentire vulnerabili e desiderosi di rassicurazione.

Ciò che si ritrova spesso nelle storie di vita di chi soffre di attacchi di panico, però, è che queste emozioni legate alla separazione, non vengono riconosciute, perché nel passato non hanno trovato un adulto capace di accoglierle e contenerle.

Negli anni ‘90 un neurobiologo di nome Panksepp ha evidenziato come il panico non sia riducibile ad un’esperienza di paura, seppur estrema, ma abbia una qualità distinta, come distinto è il circuito cerebrale che lo sostiene.

Nel nostro cervello, infatti, esiste un circuito della paura, stimolato da rumori, movimenti improvvisi e altri potenziali indizi di pericolo ed un circuito del panico (oggi chiamato circuito dell’attaccamento), la cui funzione è attivare il grido di separazione, cioè un richiamo tipico dei cuccioli (anche umani) e comportamenti di ricerca frenetica di una figura protettiva, affinché sia ripristinata la vicinanza fisica e garantita così la sopravvivenza.

In una fase successiva della terapia, quindi, dopo aver imparato a regolare la paura delle sensazioni fisiche e usciti dalla spirale del panico, crescere potrà significare anche diventare capaci di mettersi in ascolto dei propri bisogni di protezione emotiva e di sentirsi legittimati ad esprimerli.

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